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Chi siamo? Dove Andiamo? Quanti siamo? Cosa portiamo?…. Un fiorino?

Ciao Sergio,

 

queste righe sotto per mettermi nel solco del tuo articolo e sminuzzare qualche mio pensiero e mettere in fila qualche manciata di informazioni che ho raccolto sul tema quale casa europea comune in futuro e iniziative di queste settimane di alcuni protagonisti (Macron su tutti). Rispetto a quanto ho letto della proposta di Macron e dal tuo articolo dico: positivo? negativo? Boh! Di seguito il mio ragionamento….

 

Antefatto

Elaborai la mia tesi di laurea sull’indipendenza delle banche centrali e in particolare sulla nascente BCE e il Sistema Europeo di Banche Centrali che a quel tempo avevano già la propria regolamentazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale ma la cui operatività sarebbe iniziata di lì a poco (1 giugno 1998). Sulla scorta del periodo di esistenza delle banche centrali e di una diffusa letteratura al riguardo arrivai ad un mio convincimento che era appunto il succo della mia tesi: la BCE così come disegnata aveva tutta l’aria di essere una banca centrale incompiuta, mancante di due importanti strumenti: prestatore di ultima istanza (LLR) e vigilanza prudenziale. La crisi finanziaria del 2008-2009 innescò una risposta istituzionale da parte dell’Unione Europea con l’attribuzione dei poteri di supervisione alla BCE (a partire dal novembre 2014) e con l’adozione da parte della stessa BCE di una serie di “misure non convenzionali” rassomiglianti, nello spirito, all’LLR.

 

Da questo caso specifico ho fatto tesoro di alcune ipotesi di lettura della storia indicate sotto (pensando a Wilde[1], parlare di ‘lezioni’ mi sembra troppo):

  • le istituzioni vanno osservate nel loro effettivo funzionamento nel corso della storia e utilizzando quanto più possibile un’analisi comparata;
  • per quanto si ambisca a creare una istituzione nuova di zecca che abbia il dna di altre esistenti (appunto le banche centrali col loro strumentario) ma attribuendole  funzioni ridotte, questa si rivelerà alla prova dei fatti verosimilmente una istituzione ‘innaturale’ che al verificarsi di uno shock importante mostrerà la propria inadeguatezza;
  • le istituzioni sono come la ‘scrittura’ di un popolo e di una società: in esse si convogliano le regole, i costumi, i valori, gli insegnamenti e perfino i difetti che quel popolo e quella società hanno elaborato e concordato nel tempo e che riconoscono quale ente impersonale a governo dei compiti affidatigli.

 

Proposta di metodo

Questo lungo antefatto vuole essere una mia proposta di metodo per leggere gli accadimenti correnti e cercare di guardare ‘oltre la siepe’ dell’immaginabile. Le iniziative di Merkel, Macron e altri attori importanti dell’Unione Europea a mio avviso presuppongo una contestualizzazione ‘istituzionale’. Sulla base dei seguenti punti:

  • sono incline a pensare che le opzioni di scelta di azioni alternative che si offrono ad uno Stato Membro non siano né infinite né tantomeno necessariamente uguali alla gamma di opzioni che si offrono ad un altro Stato Membro, ma che invece dipendano dalla storia di quel dato Stato Membro (concetto di path dependance[2]);
  • il corollario del punto sopra è che quanti più Stati Membri si trovano ad un tavolo per una soluzione istituzionale comune, ciascuno di essi o quanto meno più gruppi di essi che condividono valori/storie simili proporranno soluzioni meno adatte ad alcuni rispetto ad altri;
  • Nel 2016, la BCE scrive che la qualità delle istituzioni conta (“Increasing resilience and long-term growth: the importance of sound institutions and economic structures for euro area countries and EMU”[3]). Questo avvalora il fatto che la scelta del set up istituzionale e il conseguente suo buon funzionamento incidono sulla crescita economica e resilienza.

 

Quindi proseguirò il ragionamento su un sentiero istituzionale che riguarda la comitiva dei paesi dell’Unione Europea.

 

Chi siamo?

Per orientarmi su dove l’Unione Europea si trovi attualmente mi avvalgo dell’aiuto della Treccani.

Dunque, l’attuale assetto istituzionale dell’Unione Europea è definito come segue:

  • “L’attuale UE è un’organizzazione internazionale sui generis”[4];
  • “La ripartizione delle competenze fra Stati e Unione – In un ordinamento connotato da chiari elementi confederativi l’equilibrio fra sfera delle competenze statali e sfera delle competenze dell’istituzione internazionale costituita dagli Stati, assume un’importanza essenziale”[5].

 

Dove andiamo?

Penso che l’equipaggiamento istituzionale più adatto all’Unione Europea per superare la difficile situazione attuale ed essere meglio attrezzata ad affrontare grandi mareggiate nel futuro sia un assetto federale. Ricorrendo sempre alla Treccani, tra le caratteristiche di uno stato federale rientrano:

  • unione di Stati caratterizzata dall’attribuzione della personalità giuridica internazionale all’unione, e dal riconoscimento ai singoli Stati federati dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario nei limiti previsti dalla Costituzione federale[6];
  • Le federazioni si fondano sempre su una Costituzione scritta che include una divisione di competenze tra il governo federale e i governi degli Stati o regioni federati, e può avere due livelli di governo (locale e federale), o anche più, che sono indipendenti e coordinati[7].

 

Due sono le ragioni principali alla base di questo convincimento:

  • l’entità e la complessità degli eventi che interessano il mondo in generale e il nostro paese in particolare (il fenomeno dell’immigrazione economica dall’Africa solo per citare un esempio) sono tali che per affrontarle in modo adeguato, è richiesta una dimensione superiore a quella dello ‘Stato-nazione”. Nostri (e degli altri ‘condomini’ dell’Unione Europea) dirimpettai sono pesi massimi di tutto rispetto quali gli Stati Uniti, Cina e India;
  • lo Stato federale non è solo esclusiva degli Stati Uniti. L’Europa ha al proprio interno una familiarità con questa forma istituzionale. Non solo la Germania ma anche la Svizzera (ringrazio un caro amico che mi segnala questa ‘ricetta con una lunga storia’) che è una repubblica federale nella quale convivono realtà distinte da un punto di vista linguistico-culturale (tedesco, francese, italiano, romancio) e religioso (cantoni protestanti e cantoni cattolici).

 

Comunque, quale che sia la mia opinione, ciò che è più importante a mio avviso è che i Macron della situazione e i loro interlocutori si contraddistinguano in chiarezza e illustrino in maniera nitida quale assetto di Unione Europea o sottogruppo di essa hanno in mente come approdo finale e come questo assetto sia confacente al ‘bene pubblico” dei cittadini di quei paesi che ne dovrebbero essere parte. Una lista della spesa come quella riportata nella lezione della Sorbona[8], ancorché per quanto piena di buone intenzioni, rischia di portare ad una sorta di Frankenstein ovvero l’assetto dell’edificio dell’Unione Europea così come è attualmente al quale si aggiungo stanze e piani. La nave di oggi non sarà meglio attrezzata ad affrontare i mari difficili se si sostituisce un albero maestro più grande e si mettono remi più resistenti. Occorre cambiare nave? E quale?

L’iniziativa[9] di cui si fa portatore Piketty è esempio di una proposta su come dovrebbe essere “la nuova nave”. Non sono al corrente tuttavia se ci sia un dibattito su questo argomento.

 

 

Quanti siamo? Cosa portiamo?

Quale è la situazione ad oggi dei Paesi potenzialmente interessati a mettersi in marcia?

Utilizzerei le fotografie, belle e autorevoli, tratte dal solito Bollettino Economico della BCE[10] di cui sopra. Le riporto qui sotto:

 

  • In termini di qualità delle istituzioni, l’area euro nel suo complesso ha margini di miglioramento come suol dirsi.

 

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  • Nell’ambito dell’area dell’euro è impressionante la variabilità delle singole posizioni dei Paesi circa la distanza dalla frontiera in termini di qualità delle istituzioni. L’Italia si distingue al penultimo posto cn un indice inferiore allo 0,1 dove la frontiera è pari a 1. Alcuni Paesi dell’eurozona per contro si distinguono per livelli di qualità invidiabili anche fuori EU.

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  • Riguardo alla efficienza dei mercati dei prodotti, l’eurozona procede più in gruppo rispetto al confronto esterno. L’Italia ha una posizione più intermedia.

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  • Dai due grafici sotto emerge che i Paesi mediterranei dell’eurozona (segnatamente Portogallo, Spagna, Italia, Grecia e Cipro) hanno una storia recente di più bassa produttività e peggiore combinazione di debito accumulato-PIL pro-capite.

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A mio avviso queste fotografie lasciano intravedere anche qualche altra informazione preziosa sulle storie dei singoli Paesi e quindi anche del nostro.

 

Mi avvalgo in questo caso sempre della vena di ricerca che combina le istituzioni con l’economia. Tramite analisi e sistematizzazioni, si va profilando una letteratura i cui contributi sfatano il comune convincimento per cui la storia delle società/paesi/civiltà sia caratterizzata da un continuo progresso ma piuttosto che sia soggetta a condizioni di crescita e/o declino.

 

Facendo riferimento a qualche testo di questa letteratura, due sono i punti emersi da questo tipo di analisi che mi pare siano utili al caso in specie:

  • quelle società/paesi con istituzioni economiche e politiche inclusive sono caratterizzati da crescita socio-economica, e quelli con istituzioni economiche e politiche estrattive (o patrimonialistiche) sono caratterizzati da declino[11].
  • Ci sono passaggi cruciali/crocevia (chiamati da questa letteratura “critical juncture[12]) nella storia di società/Paesi in corrispondenza dei quali un Paese cambia traiettoria (da assetto estrattivo a inclusivo o viceversa) e da lì il corrispondente percorso di crescita/declino sembra seguire.

 

 

Dunque, utilizzando lo strumentario sopra, le fotografie della BCE lasciano intuire che nell’ambito dell’eurozona i paesi si raggruppano in due o poco più insiemi contraddistinti gli uni da assetti più inclusivi, gli altri da assetti più estrattivi.

 

Questa distinzione è particolarmente importante per avere consapevolezza degli interessi in gioco in ciascun Paese (Italia inclusa) nel mettere in discussione lo status quo e nell’affrontare un progetto di riforma della nave europea. Il punto critico non è tanto questo che è una ovvietà ma il fatto che chi siede al tavolo della riforma europea ha alle proprie spalle “vested interest” e quindi obiettivi difficilmente conciliabili tra paesi con assetto più inclusivo e paesi con assetto più estrattivo.

 

Inoltre, possiamo ritenere che il periodo storico che stiamo attraversando dal 2008 in avanti pone i Paesi, almeno quelli dell’Unione Europea davanti ad un critical juncture? Io penso di sì.

 

Un fiorino?

Quest’ultima parte del ragionamento vorrebbe provare a proporre un metodo di analisi e valutazione di eventuali future proposte correnti e future sull’assetto della barca comune europea. C’è un qualche riferimento che possa essere utile alla nostra comprensione e valutazione di un quale che sia progetto? Tipo i valori con asterisco o meno e l’indicazione min-max a fianco di quando facciamo l’esame del sangue.

 

Senza un qualche metro di misura, per quanto rudimentale, rischieremmo di pagar cara, ben più di un fiorino, l’adesione fideistica a qualche soluzione piuttosto che a un’altra…

 

In assenza di migliori riferimenti mi vengono alla mente, oltre alle categorie inclusive/estrattive sopra, le tre seguenti categorie di istituzioni politiche indicate da Fukuyama[13] la cui presenza denota un assetto istituzionale-politico che giova all’intera società riconducibile a tali istituzioni:

  • Istituzioni/Stato: “State building is characterized by the struggle of politics to rise beyond family ties and create a neutral system. A modern state concentrates and deploys power to enforce rules on an impersonal basis[14];
  • Rule of law: “The rule of law limits the power of government by establishing accepted rules of justice, which are higher than any individual who currently holds political power[15];
  • Accountable government: “An accountable government is responsible to the people it governs[16].

 

 

Conclusioni

Su una celebre scena del film “Non ci resta che piangere”, ho provato a metter giù un canovaccio di ragionamento che ha la seguente conclusione: la valutazione di quale che sia iniziativa da parte degli attori principali dell’Unione Europea e dei suoi (principali) paesi aderenti a mio avviso richiede che venga esplicitato un quadro concettuale di riferimento rispetto al quale tale valutazione viene fatta. In tal modo questa risulterà più oggettiva e comprensibile favorendone un dibattito pubblico e conseguentemente meno esposta al rischio di considerazioni talvolta con ‘valori’ impliciti e pertanto difficili da farne tesoro comune per apprezzare le tesi di una scelta piuttosto che un’altra. Nel caso di specie, suggerirei di passerei quanto è noto oggi dei progetti di Macron ad un setaccio metodologico. Sia esso quello abbozzato sopra oppure altro.

Come corollario di quanto sopra, il mio auspicio a che nel dibattito pubblico su ‘quale Europa’:

  • chi rappresenta le istituzioni, si sforzi d’indicare quale idea complessiva abbia in testa ed indicare quali potrebbero essere i benefici (quali) per i cittadini (quali);
  • chi partecipa attivamente al dibattito pubblico, cerchi di avvalersi di un simile atteggiamento;
  • chi segue questo dibattito, sia esigente e pretenda dalla classe politica e dagli opinion maker che ci sia questo ‘setaccio’ che a mio avviso è indice di civiltà e accountability.

 

Diversamente ci ritroveremmo tutti come i tifosi delle contrade del Palio di Siena ciascuno parteggiando per la propria per ragioni di appartenenza e stracciandosi le vesti per il drappo in premio anziché dedicarsi e contribuire al dibattito per l’interesse generale (come ci ricorda lì vicino a piazza del campo l’affresco del Lorenzetti dell’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo).

 

Sperando, insomma, che oggi ci restino tante cose buone oltre che piangere…

 

Riccardo Brogi

 

 

[1] “L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione”.

[2] Douglass C. North, Institutions, The Journal of Economic Perspectives, Vol. 5, No. 1. (Winter, 1991), pp. 97-112; Douglass C. North, The New Institutional Economics and Development, http://www2.econ.iastate.edu/tesfatsi/NewInstE.North.pdf.

[3] ECB Economic Bullettin, Issue 5/2016, pp. 75-82.

[4] http://www.treccani.it/enciclopedia/forma-di-governo-dell-unione-europea_%28XXI-Secolo%29/.

[5] http://www.treccani.it/enciclopedia/forma-di-governo-dell-unione-europea_%28XXI-Secolo%29/.

[6] http://www.treccani.it/enciclopedia/federazione-e-confederazione_%28Dizionario-di-Storia%29/.

[7] http://www.treccani.it/enciclopedia/federazione-e-confederazione_%28Dizionario-di-Storia%29/.

[8] http://www.bbc.com/news/world-europe-41403394.

[9] http://piketty.blog.lemonde.fr/2017/03/22/what-would-a-euro-zone-assembly-look-like/.

[10] ECB Economic Bullettin, Issue 5/2016, pp. 75-82.

[11] Acemoglu and Robinson, Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty, 2012. Gli autori utilizzano le seguenti categorie di analisi: “Inclusive economic institutions: Secure property rights, law and order, markets and state support (public services and regulation) for markets; open to relatively free entry of new businesses; uphold contracts; access to education and opportunity for the great majority of citizens. Extractive economic institutions: Designed by the politically powerful elites to extract resources from the rest of society. Extractive political institutions – in the limit .absolutism: Political institutions concentrating power in the hands of a few, without constraints, checks and balances or rule of law. Inclusive political institutions: Political institutions allowing broad participation. pluralism. and placing constraints and checks on politicians; rule of law (closely related to pluralism). Patrimonialismo è un altro concetto di patologia riconducibile a Max Weber (http://www.encyclopedia.com/social-sciences/dictionaries-thesauruses-pictures-and-press-releases/patrimonialism).

[12] “Major events that disrupt the existing political and economic balance in one or many societies”, Acemoglu and Robinson, Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty, 2012.

[13] Francis Fukuyama, The Origins of Political Order, 2012.

[14] http://carnegieendowment.org/2011/06/06/conversation-with-francis-fukuyama-on-origins-of-political-order-event-3294.

[15] http://carnegieendowment.org/2011/06/06/conversation-with-francis-fukuyama-on-origins-of-political-order-event-3294.

[16] http://carnegieendowment.org/2011/06/06/conversation-with-francis-fukuyama-on-origins-of-political-order-event-3294.

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Un pensiero su “Chi siamo? Dove Andiamo? Quanti siamo? Cosa portiamo?…. Un fiorino?

  1. L’ha ribloggato su Come se ne escee ha commentato:

    Riccardo sono d’accordo con te. Quello che volevo sottolineare io è che oltre alla dimensione razionale/progettuale, esiste una dimensione politica condizionata dalle identità dei cittadini. Se le elitè europee oggi per fortuna ancora dominanti (e le cito non perchè voglia fare un’accusa di elitismo ma perchè penso che così funzioni il mondo) vogliono fare progressi nella costruzione dell’Europa, debbono fare in modo che le politiche e le nuove istituzioni europee riflettano e possibilmente accrecono l’identità europea. Per questo non credo che il federalsimo sia maturo e trovo invece bilanciatamente ambiziose e realiste le proposte di Macron.

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